Quello che ci sfugge del pensiero

pensiero automatico

«Quali sono i problemi del mondo? Sembrano così tanti che è difficile anche solo cominciare a elencarli (…) Perché abbiamo  accettato questo stato di cose così distruttivo e così pericoloso e che favorisce così tanto l’infelicità? Sembriamo in qualche modo ipnotizzati. Andiamo avanti con questa follia e nessuno sembra sapere cosa fare o dire (…) Io sostengo che dietro tutto questo ci sia qualcosa che non comprendiamo a proposito di come funziona il pensiero.

«Ogni cosa dipende dal pensiero — se il pensiero sbaglia, ogni cosa che faremo sarà sbagliata (…) La vera crisi non è in questi eventi che ci troviamo ad affrontare, come le guerre, i crimini, le droghe, il caos economico e l’inquinamento; è in realtà nel pensiero che la produce (…) È simile a un virus – in qualche modo, si tratta di una malattia del pensiero, della conoscenza, dell’informazione, che si diffonde in tutto il mondo e produce distruzione. Più computer, radio e televisione abbiamo, più si diffonde velocemente. Il tipo di pensiero che circola tutt’intorno comincia a subentrare in ognuno di noi, senza che riusciamo nemmeno a notarlo. Si diffonde come un virus e ognuno di noi nutre questo virus (…) L’unico modo per fermarlo è riconoscerlo, ammetterlo, vedere cos’è.

«Dobbiamo fare qualcosa per questo processo di pensiero – non possiamo solo lasciarlo andare avanti a distruggerci (…) Io dico che non si tratta di una questione ovvia – è molto sottile e si snoda molto in profondità (…) Da qualche parte, alla sorgente del pensiero, esso viene inquinato – questa è l’idea.

È davvero molto importante accorgersi che la nostra cultura ci fornisce un’idea sbagliata a proposito del pensiero, implicando continuamente:

  • che percezioni, pensieri ed emozioni siano atti di coscienza separati che procedono per vie distinte e indipendenti (il corpo, la mente razionale, ‘il cuore’ – o mente emozionale);
  • che il nostro pensiero sia il nostro personale pensiero individuale;
  • che il pensiero sia una facoltà neutrale da usare per orientarci al meglio nel mondo esterno.

« Ma dobbiamo osservare con più attenzione. Dobbiamo vedere ciò che il pensiero è davvero, senza presupposizioni. Cosa accade davvero quando pensiamo?

Sto cercando di dire che:

  • Ciò che è sentito e pensato sono un solo processo; non due. Ed entrambi provengono dalla memoria; nella memoria sono probabilmente del tutto mischiati. La memoria influenza anche il corpo concreto. Influenza le sensazioni. Quindi abbiamo esperienza, conoscenza, pensiero, emozione, pratica – tutto in un unico processo che è una continuazione, la risposta dal passato di qualcosa che abbiamo appreso. Quando la memoria agisce non potete separare la funzione intellettuale, la funzione emotiva, la funzione chimica, la funzione muscolare – perché anche questa conoscenza tacita è una sorta di memoria – sono tutte lì.
  • La maggior parte del pensiero nella sua forma generale non è individuale. Ha origine dalla cultura complessiva e ci pervade. Lo raccogliamo da bambini dai genitori, dagli amici, dalla scuola, dai giornali, dai libri e così via. Produciamo in esso piccoli cambiamenti; selezioniamo certe parti che ci piacciono, e possiamo rifiutarne certe altre. Tuttavia, tutto proviene da quel bacino. Forse non siamo “noi”, ma la conoscenza stessa che conosce ogni sorta di cose. L’idea è che la conoscenza – che è pensiero – si muove autonomamente: passa da una persona all’altra. C’è un bacino complessivo di conoscenza per l’intera specie umana, come per computer differenti che condividono un bacino di conoscenza. II bacino del pensiero si è sviluppato per molte migliaia di anni ed è pieno di ogni sorta di contenuto. Questa conoscenza, o pensiero, sa tutto di quel contenuto, ma non sa quello che sta facendo.
  • La rappresentazione del pensiero entra nella presentazione della percezione e si trasforma in pensiero tacito, implicito (…) Penserete a ciò che percepite come se fosse un fatto del tutto indipendente – indipendente dal pensiero – e vi parrà darvi la prova di ciò che pensate, mentre è il pensiero a provare se stesso creando “fatti” che non sono davvero fatti. Le conseguenze dell’errore sono decisive: se diciamo che questo è un fatto “puro”, che è proprio “lì”, gli daremo un valore tremendo. Invece, moltissime cose che prendiamo come solida realtà – un paese, una religione, la General Motors, l’ego – sono rappresentazioni collettive della stessa qualità di un arcobaleno… In effetti, non è sbagliato fare così. La difficoltà sorge perché non realizziamo che avviene, e di conseguenza attribuiamo alla rappresentazione il valore di fatto indipendente. Se potessimo vedere che ciò sta avvenendo non vi sarebbe alcun problema. Saremmo allora in grado di valutare il “fatto” per ciò che esso è, in gran parte riproduzione di registrazioni passate, che non avrebbero tanto significato quanto ne avrebbero se fossero una risposta a una situazione presente e immediata . Ma nel nostro atteggiamento corrente, siamo solo in grado di prendere “fatti” che hanno un valore molto scarso e attribuirgliene uno molto alto.

«Il pensiero è capace di fornire una rappresentazione di ciò che esperiamo (…) la percezione presenta qualcosa e il pensiero ce la ri-presenta come astrazione (…) Ma la cosa da notare – il punto chiave – è che questa rappresentazione non è presente solo nel pensiero o nell’immaginazione, ma si fonde con la percezione effettiva o l’esperienza. In altre parole, la rappresentazione si fonde con la “presentazione”, cosicché ciò che è “presentato” (come percezione) è già in gran parte una ri-presentazione (…) Avrete allora ciò che potremmo chiamare una “rete di presentazioni” (net presentation), ovvero il risultato dei sensi, del pensiero ed eventualmente di una qualche intuizione. Tutto ciò sì congiunge in una presentazione a rete.

«Il modo in cui esperiamo qualcosa, in questo senso, dipende da come lo rappresentiamo – da come sbagliamo nel rappresentarlo (…) Generalmente non notiamo il nesso tra rappresentazione e presentazione – la loro connessione a doppio senso. Al pensiero sembra mancare l’abilità di vedere che ciò sta avvenendo. Il processo è inconscio, implicito, tacito (…)

«La specie umana, in linea dì massima, se n’è accorta raramente – se mai l’ha fatto. Forse pochissime persone lo hanno saputo, ma in generale andiamo avanti senza esserne consapevoli. Non stiamo dicendo che questo processo sia buono o cattivo. Sembra che il pensiero non possa farne a meno, di questa connessione tra rappresentazione e presentazione. È necessario lasciar entrare il pensiero nel fatto, ma non siamo in grado di notare che ciò avviene. Ciò che è sbagliato non è il fatto che esso abbia luogo, quanto piuttosto che non ne siamo consapevoli.

«I pensieri, le fantasie e le fantasie collettive sono percezioni acquisite. I miti sono fantasie collettive e ogni cultura ha Ì propri miti. Molti di loro sono percezioni acquisite, come se fossero realtà percepite. Per tutti ciò accade in maniera differente e non vediamo davvero il fatto. Questo è il fatto: che non vediamo il fatto. C’è un fatto di un ordine più alto – ovvero, che non vediamo il fatto direttamente. Questo è il fatto da cui dobbiamo partire.

«Il nostro “cervello nuovo”, con il prosencefalo e la corteccia che permettono il pensiero complesso, si è sviluppato piuttosto rapidamente e quindi non ha stabilito una relazione armonica con quello che c’era prima. Le funzioni più vecchie del cervello, come le emozioni e così via, potevano rispondere ai fatti immediati dell’ambiente degli animali: fuggire, combattere, restare immobili. Poi venne l’attività di questa corteccia nuova, la quale poteva proiettare immagini di tutti i tipi che erano molto realistiche; ma il “cervello vecchio” non ha mai imparato molto bene come riconoscere la differenza tra un’immagine e la realtà, perché non ne aveva bisogno. Non era mai stato circondato da una struttura che producesse moltissime immagini (…) Questo cominciò a confondere la nuova parte del cervello a causa di “combatti, fuggi, resta immobile”, reazioni, processi neurochimici e così via (…) Forse, questa è una delle strade che ci hanno condotto dove siamo. La cosa da notare è che il principale ambiente del cervello vecchio oggi non è la natura o la realtà esterna, ma il cervello nuovo, perché tutto è ora filtrato attraverso il cervello nuovo e le sue rappresentazioni.

«Capite che la questione della rappresentazione è cruciale nella comunicazione. Le nostre stesse relazioni dipendono da come presentiamo altre persone a noi stessi e da come presentiamo noi stessi ad altre persone. E tutto ciò dipende da rappresentazioni generali e collettive. Vediamo il mondo in accordo con la rappresentazione generale e collettiva che circola nella nostra società e cultura ma, nella misura in cui questa può essere messa da parte, allora possiamo cambiare, perché il mondo viene presentato in modo diverso.

«Cambiare la rappresentazione apre la strada a ulteriori cambiamenti. Non diciamo che sarà facile, o difficile – non lo sappiamo – ma apre la strada, apre una grande prospettiva. Se riuscissimo   a vedere davvero il pensiero nella sua attività di produrre presentazioni da rappresentazioni, non ne saremmo più abbindolati – sarebbe come vedere il trucco dell’illusionista nel momento in cui  si sta esibendo.